Quando finisce una convivenza

QUANDO FINISCE UNA CONVIVENZA

Ecco, in anteprima per la Community di Vita da Single.net, la copertina del primo numero di "S!ingles'", la rivista che sarà in edicola dalla seconda metà di Dicembre 2002, insieme ad un articolo sui problemi legali che scaturiscono dalla fine di una convivenza.


Cosa succede quando finisce la convivenza

Il rapporto di convivenza al di fuori del matrimonio può oggi considerarsi generalmente il frutto di una scelta consapevole, quella di porre la vita in comune senza essere assoggettati alla disciplina vincolistica dei diritti e dei doveri che la legge ha dettato per il matrimonio. Spesso tale scelta rappresenta un momento di collaudo dell’unione in vista di un futuro eventuale matrimonio; sono invece sempre più ra r i nella società contemporanea i casi di convivenze instaurate per ragioni di carattere economico posto che, come è noto, anche sposarsi comporta dei costi non indifferenti, mentre una situazione del tutto particolare è quella dei casi in cui la convivenza costituisce una sorta di scelta obbligata perché l’uno dei due compagni, od anche entrambi, sono ancora uniti da precedenti vincoli matrimoniali con altri.

Dunque intraprendere una convivenza comporta il dar vita ad una unione stabile svincolata dalle regole che governano il matrimonio. E non è un caso se si  parla correntemente di unioni libere o spontanee proprio per sottolineare l’indipendenza di tali aggregazioni dal modello istituzionale della famiglia fondata sul matrimonio.
Il dato curioso è tuttavia che anche quanti hanno scelto di creare una stabile unione al di fuori del matrimonio finiscono sovente con il dar vita a situazioni concrete tipiche del rapporto coniugale. Si mettono al mondo figli, si cointesta l’abitazione familiare o il conto corrente bancario alla stessa stregua di una qualsiasi coppia coniugata, ovvero si impiegano denari propri per ristrutturare od ; anche per arredare l’appartamento di proprietà esclusiva dell’altro, od ancora si immettono in un unico conto corrente bancario i proventi delle rispettive attività di lavoro senza distinzione alcuna e così via. Che accade dunque quando termina l’unione in casi come questi? Qui emerge uno dei tanti paradossi che fanno parte del diritto vivente per cui situazioni sostanzialmente identiche finiscono con l’avere sotto il profilo della tutela riscontri profondamente differenziati. E’ risaputo infatti che se la coppia è coniugata al momento della crisi vi è un giudice, il giudice della separazione, che si occupa di tutti i rapporti tra i coniugi, sia di quelli personali, autorizzandoli ufficialmente a vivere separati o pronunciando eventuali addebiti della separazione all’uno o all’altro, sia di quelli patrimoniali, disponendo a seconda dei casi l’obbligo di corresponsione di un contributo economico a favore del coniuge eventualmente più debole, l’assegnazione dell’abitazione co-niugale al coniuge a cui sono affidati i figli, l’obbligo di costituzione di idonee garanzie patrimoniali se vi sono rischi di inadempimento e così via.

Quando invece si separano due conviventi di fatto non vi è alcun giudice cui essi possano rivolgersi per ottenere tutela in quanto tali; l’ordinamento infatti non riconosce alcun diritto in favore del convivente eventualmente più debole, né diritti di altra natura se non in ipotesi del tutto residuali riconoscendo, ad esempio, la risarcibilità del danno morale per morte del compagno.
Eventuali prassi poste in essere fra conviventi, come periodici aiuti economici dall’uno all’altro, costituiscono infatti il frutto di obbligazioni meramente naturali e spontanee, come tal i  non vincolanti. Soltanto ove tra i due conviventi siano intercorsi comuni rapporti di diritto privato (vi è ad esempio, come abbiamo detto, una comproprietà dell'abitazione od una cointestazione di un rapporto bancario, od ancora l’uno ha dato a prestito all’altro denari per la ristrutturazione o l’arredo della casa di cui questi è proprietario) essi potranno nell'ipotesi di disaccordo rivolgersi al giudice ordinario, ma potranno pretendere esclusivamente la medesima la tutela che l'ordinamento offre alle parti private  di un qualsiasi rapporto contrattuale.
Tutto ciò è la inevitabile conseguenza della irrilevanza per il nostro legislatore delle unioni di fatto pur se esse costituiscono oggi fenomeno comune e diffuso nella società e non sono più oggetto del giudizio di disvalore del passato. Anche quando il legislatore si è occupato di queste situazioni lo ha fatto esclusivamente per esigenze di tutela verso i figli e lo ha fatto, si badi, prevedendo una distribuzione delle competenze tra diversi organi giudiziari cervellotica e irrazionale. La conclusione dunque non può che essere la seguente: è un calvario giuridico se si rompe l'unione di fatto!. Ciascuno ne tragga l'insegnamento che crede.


Carlo Bosi, Avvocato matrimonialista e docente di diritto di famiglia

un cuore spezzato di carta appeso a un filo
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